Cereali a colazione, la verità su quello che c’è dentro: è qualcosa di sconcertante

La mattina c’è chi ha bisogno solo di un caffè e chi invece per iniziare bene la giornata si concede una ciotola di cereali. Ma cosa c’è dietro al loro commercio?

Cereali verità commercio
Cereali (Canva)

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Anche se da noi ormai sono molto diffusi, la loro “scoperta” è avvenuta più di un secolo fa negli Stati Uniti, Paese dove oggi ci sono in commercio decine e decine di diversi cereali, spesso con gusti che a noi sembrano assurdi, o con aggiunte che li rendono a volte equiparabili addirittura a dei “dolci“.

Non è infrequente, infatti, che nella versione a stelle e strisce spesso se ne trovino in commercio alcuni con aggiunte improbabili come marshmellow o gusti bubble-gum, rendendoli ricchi di zuccheri e quindi poco salutari.

Da noi la situazione è certamente diversa, e abbiamo meno scelta ma anche prodotti più salutari, spesso tutti di una delle multinazionali del settore, la Kellogg’s. Eppure nel corso degli anni, l’azienda si è trovata spesso sulla “graticola”.

Cereali: cosa c’è dietro al suo commercio?

Tra gli oppositori più strenui, il Dottor Jean Mayer, nutrizionista e in seguito rettore e presidente della Tufts University, che nel 1975 pubblicò un articolo molto discusso uscito su alcune delle testate più importanti del Paese, dal titolo: “Is it cereal or candy? ” (Sono cereali o dolciumi?). “Io sostengo che questi cereali, contenenti oltre il 50 per cento di zucchero, dovrebbero essere qualificati come imitazioni di cereali o dolci ai cereali e andrebbero venduti nel reparto dei dolciumi, non in quello dei cereali” scrisse all’epoca.

Non solo, perchè negli anni successivi alla pubblicazione dei suoi lavori, furono molti i consumatori a creare class-action contro aziende del settore, a causa dei danni alla loro salute dopo anni di consumi dei loro prodotti. A volte queste azioni portarono a rimborsi clamorosi per i consumatori.

Basti pensare a quella fatta partire nel 2008, che portò i clienti ad avere dalla Kellogg’s, nel 2013, a dover sborsare un rimborso di 4 milioni di dollari. Motivo del contendere, uno spot che reclamizzava dei cereali, e che sosteneva che gli stessi avrebbero aiutato i bambini ad ottenere voti più alti a scuola.

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