I capelli afro come mezzo di affermazione culturale: finalmente liberi?

Nei capelli afro si nasconde una storia molto più significativa di uno stile: il movimento per l’affermazione e l’orgoglio dell’identità culturale 

Capelli afro
L’artista e attivista Laetitia Ky (Insatgram)

Per lungo tempo i capelli afro sono stati oggetto di un vero e proprio stigma fortemente limitante all’interno della società. La discriminazione nei confronti dei capelli naturali, a partire da uno standard di bellezza imposto, è stata ostacolo professionale ma anche sociale per la comunità afro.

La scelta indotta di nasconderli, aspirando alle chiome lisce e indossando parrucche, è stata adottata per riuscire a raggiungere un certo grado di accettazione, fino a sottoporsi a trattamenti molto invasivi. Il modello propinato aveva la potenza di insinuarsi nei desideri dei discriminati fino a non accettare più la propria immagine e di conseguenza la propria identità. Una forma di emarginazione che comprende e supera la sfera dei diritti civili, agendo in alcuni casi in modo più silenzioso di altre forme di razzismo, ma non meno effettivo e traumatizzante, persino totalizzante.

Tuttavia la storia che si nasconde dietro i capelli afro ha radici antiche, tradizionali, spirituali, e attraversa anche lo schiavismo, dove hanno formulato ancora nuovi significati, dall’imposta rasatura alle trecce come mappe per le vie di fuga. Già nel 1920 l’attivista per i diritti civili Marcus Garvey si espresse riguardo dell’estetica naturale dei capelli, ma è nel 1960 che diventa un vero e proprio argomento di dibattito con l’attivista Angela Davis.

L’argomento, che lentamente ha conquistato importanza e terreno nel dibattito sociale, è giunto fino al 21esimo secolo per riuscire a liberarsi dal peso discriminatorio. Un cambiamento avvenuto anche con il contributo di alcuni esponenti che hanno rivendicato la naturale immagine dei propri capelli, il loro profondo significato e l’orgoglio per la propria appartenenza: il movimento “Don’t touch my hair“.

Capelli afro: “Don’t touch my hair”

 

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“Don’t touch my hair” è il titolo del un singolo della cantante Solange, ma nasce da un evento da essa stessa denunciato. L’imperativo ha origine dal photoshop della rivista Evening Standard Magazine che ha nascosto la sua treccia in copertina, modificandone l’immagine. Lo stesso accadimento ha colpito l’attrice Lupita Nyong’o, premio Oscar per “12 anni schiavo”, adottando lo stesso manifesto, per via delle modifiche apportate agli scatti della rivista Grazia UK, che ne ha ritoccato i capelli.

Nonostante sia cresciuta pensando che capelli lisci e setosi fossero lo standard di bellezza, ora so che anche la mia pelle scura e i miei capelli ricci e crespi lo sono“, inizia così la rivendicazione dell’attrice sulla propria immagine naturale. In particolar modo, ha sottolineato quanto sia ancora lunga la strada per il superamento del pregiudizio razziale ancora presente.

L’artista ivoriana e attivista femminista Laetitia Ky ha intenzione di percorrerla fino in fondo, attraverso le opere create proprio attraverso i suoi stessi capelli, intrecciandoli fino a costruire incredibili e strabilianti figure artistiche, attualmente in mostra alla biennale di Venezia.

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Musica sociale, fashion red carpet, arte politica, i capelli afro diventano mezzo di affermazione e motivo di orgoglio della propria identità. Non più una realtà da nascondere, ma la naturale bellezza che viene messa in mostra e celebrata in tutto il suo prezioso significato storico.

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